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L'Io nel Novecento non riesce più a rappresentarsi attraverso il racconto lineare della propria vita, perché ponendosi davanti allo specchio non incontra se stesso in un'immagine nitida e ben definita. Lo specchio riflette un'immagine frantumata, moltiplicata, restituendo soltanto schegge del sé. Il tentativo di ricomporle nella scrittura costituisce l'azzardo dell"'Io che scrive" nella consapevolezza dei limiti della lingua e del dicibile. Max Frisch, Christa Wolf e Gregor von Rezzori hanno contribuito al discorso autobiografico novecentesco, facendo della propria esperienza esistenziale il presupposto dell'espressione artistica. Ponendo l'Io, celato dietro una maschera oppure palesato, al centro delle loro opere, i tre autori hanno sperimentato diverse tipologie testuali e "generi" letterari, fondendo tradizione e innovazione strutturale in conformità con i concetti novecenteschi di soggettività e di realtà. Nella loro produzione letteraria alcune opere a carattere ibrido, a metà tra autobiografia e finzione, sono particolarmente significative per il valore estetico della strategia di autorappresentazione ivi messa in atto e suscitano l'interesse del lettore anche per la materia storica - di carattere personale e collettivo - trattata. Scrive Strässle Thomas nella prefazione al libro: "La scrittura autobiografica ha una lunga storia e un ricco presente. Il lavoro di Angela Checola individua tre testi recenti appartenenti a questa tradizione letteraria - Montauk (1975) di Max Frisch, Kindheitsmuster (1976) di Christa Wolf e Blumen im Schnee (1989) di Gregor von Rezzori - e li mette a confronto, indagando in particolare sull'interazione tra autorappresentazione e autoinvenzione come aspetto caratteristico della 'scrittura del sé'."